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martedì 25 luglio 2023

👹☠️Follie Medievali N°1 - Il Cannibalismo -

 FOLLIE MEDIEVALI 

(a cura di Tania Perfetti)


XI. IL CANNIBALISMO


1. UNA PRATICA ABOMINEVOLE

L’antropofagia è nella nostra cultura una delle pratiche più mostruose e ripugnanti. Un tabù scabroso e disumano che nell’immaginario collettivo viene spesso associato a popolazioni primitive ed esotiche. La storia però ci racconta che fu un fenomeno conosciuto anche nelle nostre lande.

Il termine cannibalismo fu coniato da Cristoforo Colombo (1451-1506) prendendo spunto dal popolo dei Cannibi che, a suo dire, praticava l’abominevole e misteriosa pratica del mangiare essere umani.

Nell'Europa Medioevale il cannibalismo non fu poi così insolito purtroppo. La fame spinse in più di un’occasione le persone a cibarsi dei propri simili. 

Le carestie erano un evento familiare nell’Europa medievale. Ad esempio, nel Regno di Francia si verificarono carestie localizzate nel corso del XIV secolo: nel 1304, nel 1305, nel 1310, la Grande Carestia del 1315-1317, poi ancora nel 1330-1334, nel 1349-1351, nel 1358-1360, nel 1371, nel 1374-1375 e nel 1390. Nel Regno di Inghilterra ci furono altre carestie nel 1321, nel 1351 e nel 1369. Per la maggior parte delle persone spesso non c’era abbastanza da mangiare e la vita era una lotta relativamente breve e brutale per sopravvivere alla vecchiaia. Le Cronache e gli annali ci raccontano i momenti più drammatici.

 

2. LE GRANDI CARESTIE

Benché in precedenza, tra l’VIII e il XIII Secolo, non si sia registrata in Europa alcuna grande carestia diffusa su larga scala, Rodolfo il Glabro (980-1047) racconta nelle sue “Cronache dell’anno Mille” le conseguenze della grande carestia del 1033. Egli scrive: «La fame rabbiosa spinse gli uomini a divorare carne umana. I viandanti venivano aggrediti, i loro corpi fatti a pezzi, cotti sul fuoco e divorati. Molti poi, mostrando un frutto o un uovo ai bambini, li attiravano in disparte per poterli scannare e cibarsene. In molti posti i cadaveri venivano disseppelliti e servivano anch’essi a placare la fame. Non c’era paese della cui indigenza e mancanza di pane non si sentisse parlare; gran parte del popolo morì consunto dall’inedia. Era una fame orrenda che induceva a nutrirsi non solo con le carni di animali schifosi e di rettili, ma perfino di uomini, di donne, bambini, senza riguardo neppure per i più stretti legami di sangue. Giacché la violenza della carestia giunse al punto che i figli adulti mangiavano le loro madri, e queste, dimentiche dell’amor materno, facevano lo stesso coi propri bambini». Questa orribile vicenda è stata anche citata da Umberto Eco (1932-2016) in “Il Nome della Rosa”. Ovviamente la pratica, anche se attuata, era considerata illegale e deprecabile.

Già a partire dal 1309 e il 1311, ci furono nel Nord Europa e in Italia Settentrionale abbondanti precipitazioni che trasformarono i campi coltivati in insalubri acquitrini, compromettendo la produzione di cereali in Italia. I cereali erano l’alimento primario della dieta dell’epoca. La conseguenza fu una grande e tremenda carestia. Le attività criminali aumentarono, le malattie si abbatterono contro la popolazione già stremata dalla fame. La morte divenne la normalità. Fenomeni come l'infanticidio e il cannibalismo si diffusero velocemente.

Nel 1363 il Re di Francia, Giovanni II detto il Buono ( 1319-1364), vietò di mangiare animali che si fossero nutriti nelle residenze dei barbieri, dove avrebbero potuto ingerire sangue, capelli e unghie umane. La normativa si estese poi a vietare a diverse categorie professionali, come ad esempio i chirurghi, l'allevamento di animale destinati all'uso alimentare, perché potevano essersi cibati di residui umani come fluidi o carni amputate.

3. CANNIBALISMO CROCIATO

Durante la Prima Crociata (1096-1099), dopo la conquista di Antiochia (1098) da parte di Boemondo d’Altavilla (1058-1111), alcuni crociati si spinsero a razziare in direzione di Tripoli e del Libano. Tra le vittime delle loro incursioni vi furono gli abitanti della cittadina di Marra. Dopo la sua caduta, i crociati si diedero a violenze, razzie e, pare, ad atti di cannibalismo. Questi furono riportati per sentito dire dal cronista Rodolfo di Caen (1080-XII Sec), al seguito del principe Boemondo e del nipote di questi Tancredi (1080/1090-1141). Nel suo “Gesta Tancredi in expeditione Hierosolymitana”, narra di episodi non proprio edificanti compiuti dai crociati ai danni delle popolazioni inermi. 

Nella chanson de geste “Chanson de Jérusalem” comparsa nel 1100 nel Nord della Francia, è specificato che tra i combattenti della Prima Crociata in lotta per il regno dei cieli ci sono i Tafuri, originari della Francia: poveri e miserabili, camminano scalzi, vestono di stracci, si nutrono di qualsiasi cosa sia commestibile. Imbracciano armi rudimentali come pugnali, coltelli, clave, mazze, asce, bastoni, fionde e semplici pietre, o anche strumenti agricoli come falce, zappe, pale e magli. Sono pelosi, portano i capelli lunghi e disordinati, hanno i baffi bruciacchiati per via del fumo e del carbone, mentre le gambe, i piedi e i talloni sono scorticati. Partecipano alla crociata attraverso i lavori più umili, sorpassando, dicono le cronache, gli asini e le altre bestie di soma nel loro carico di lavoro. Sono guidati da un re, di solito un cavaliere normanno decaduto, armato di falce e vestito non di un mantello di seta, ma di un sacco senza alcun tipo di decorazione, pieno di strappi e buchi, tenuto stretto in vita grazie a cordicelle di canapa e fissato al collo. Al posto di una corona d'oro sul capo una corona di foglie con boccioli. I Tafuri formano un piccolo esercito di 10.000 uomini, paragonati a «veri e propri animali, simili alle truppe animalesche del contingente musulmano. Anche la nerezza, caratteristica demoniaca che associa i musulmani a Satana, torna nella descrizione dei Tafuri. Sono elementi ai margini della società cristiana, uomini lontani dalla civiltà e, perciò, lontani dal modello standard del cavaliere crociato che, seppur umile, non è rozzo come i Tafuri, ma espressione di un ideale di bellezza» (cfr. Davide Esposito, “La Chanson de Jérusalem: la crociata come pellegrinaggio”). I Tafuri stuprano le donne musulmane e, una volta uccisi gli infedeli, iniziano a spogliare i cadaveri, scarnificarne i corpi poi salati, asciugati al sole e infine... consumati.


4. IL CANNIBALISMO A SCOPO TERAPEUTICO

Un altro aspetto del cannibalismo è la presunta funzione terapeutica. Si pensava infatti che mangiare un proprio simile permettesse di assimilarne la forza vitale e guarire da una malattia. 

Plinio il Vecchio (23-79) enumerava tra gli auxilia (veri rimedi medici) il cerume, la polvere dei denti sbriciolati, il corpo degli uomini «appartenenti a quei gruppi etnici che destano terrore nei serpenti», e si scagliava contro l'uso di bere il sangue dei gladiatori, argomento ripreso un secolo e messo più tardi da Tertulliano (155-230?), stigmatizzando coloro che, per guarire l'epilessia, «succhiano con avidità» il sangue dei criminali. 

Un discorso particolare è la controversa usanza del mangiare le mummie.  Sembra che nel Medioevo le mummie fossero considerate un medicamento prodigioso. Nell’XI Secolo non era raro trovare pezzi mummificati o mummificati di cadaveri umani sugli scaffali delle farmacie. Era anche possibile ottenere pochi grammi di polvere del corpo umano, nota all’epoca come efficace rimedio contro il mal di testa, il bruciore di stomaco e persino il cancro. Questa usanza però sembra dovuta a una errata traduzione dei manoscritti orientali. A quel tempo infatti gli europei organizzarono le prime crociate verso Gerusalemme, e quindi verso est, entrando in contatto con la fulgida civiltà musulmana. Iniziarono cosi a tradurre i suoi testi, commettendo non pochi errori. Per lo storico Karl Dannenfeldt, i traduttori dell’XI-XII Secolo identificarono erroneamente la parola “mummia” con la parola “mama”, una sostanza trovata sul fianco di una montagna a Darabjerd, in Persia (Iran), dove l’asfalto naturale trasuda da una roccia nera. Le sue molteplici qualità curative sono state riconosciute, è utilizzato per molti scopi medicinali ed è famoso nel mondo arabo per essere costoso, raro ed efficace. Questo trattamento è molto diffuso nella letteratura araba ed era appunto chiamato “mama”, che è una parola locale che significa “cera”.


5. IL PASTO EUCARISTICO

Un’altra forma inconsueta di cannibalismo è quello del Corpo di nostro Signore. Naturalmente, nessun cristiano medievale aveva la sensazione di essere un cannibale.

Nell’eucaristia non si mangia una carne materiale e mortale ma ci si unisce con un corpo glorioso, soprannaturale, celeste. Le accuse di cannibalismo furono imputate dai pagani proprio ai primi cristiani, poi trasferite da questi ultimi contro i pagani stessi sin dai primi apologisti e padri della Chiesa, ma anche e soprattutto contro eretici ed ebrei nel corso del Medioevo.

Se è vero che né «la teofagia né il cannibalismo sacrale […] nascono con il Cristianesimo, essendo presenti in una grande varietà di miti e di culti precedenti», è pure vero che quello di Cristo è un corpo «incarnato, risorto, transustanziato, esposto, venerato, ingerito, assimilato» (cfr. Angelica Montanari, “Il fiero pasto”).

I nemici della nuova religione cristiana ebbero quindi gioco facile ad accusare i cristiani di cannibalismo rituale, di cibarsi di carne e sangue umani e di compiere omicidi di bambini per inzuppare nel loro sangue il pane eucaristico. Gli apologisti e i padri della Chiesa si impegnarono a fondo nel confutare le infamanti accuse e nel rispedirle al mittente.

Dal Duecento in poi, le campagne di persecuzione contro catari, manichei e valdesi furono sostenute dall’idea che essi celebrassero eucarestie sacrileghe, con ostie impastate di sangue umano, La stessa imputazione di compiere riti a sfondo cannibalico fu fatta agli ebrei e si fondò sull'incubo di un rovesciamento sacrilego della Pasqua cristiana.

Anche lo stereotipo inquisitoriale del sabba venne costruito sopra l'accusa fatta alle streghe di uccidere bambini per ricavarne roba «commestibile e potabile». Della Porta descrive anche la formula dell’unguento magico utilizzato: «esse cuociono in un vaso di rame grasso di bambini stemperato con acqua. Cocendo l’acqua evapora e nel vaso rimane una pasta a cui le streghe aggiungono aconito, foglie di pioppo, sangue di pipistrello, solano sonnifero e olio». Il risultato viene spalmato sul corpo «strofinando la pelle fino ad arrossarla, in modo che si rilasci, di dilatino i pori e l’olio penetri più profondamente nei tessuti».


6. LA FAMIGLIA BEAN

Le vicende della famiglia Bean si perdono nella leggenda e nel folklore, anche se alcuni riscontri storici sono stati effettivamente rinvenuti.

Questa vicenda ha una particolarità: di solito i serial killer sono dei solitari, ma nel caso di Sawney Bean fu coinvolta l’intera numerosa famiglia, frutto di relazioni incestuose. Le fonti sono scarse, ma da quanto è pervenuto ai giorni nostri si stima che la famiglia di Sawney Bean catturò, uccise e mangiò oltre mille persone verso la fine del XVI Secolo.

La famiglia di assassini ebbe molti componenti, frutto di incesti. La loro discendenza arrivò a comprendere 8 figli, 6 figlie, 18 nipoti maschi e 14 nipoti femmine. Il clan prosperò assalendo nottempo ignari viandanti Dopo averli uccisi e derubati, i corpi venivano portati nella loro caverna, dove erano smembrati e divorati. Re Giacomo I Stuart (1566-1625) venne a conoscenza della questione e decise di dare la caccia alla famiglia di cannibali con 400 uomini. Non impiegarono molto tempo a trovare la caverna ricolma di resti umani. I membri della famiglia Bean furono catturati e giustiziati a Glasgow senza alcun processo: agli uomini amputarono i genitali e mozzarono mani e piedi, lasciandoli morire dissanguati, mentre le donne e i bambini furono bruciati vivi. La pena richiamò la punizione dello squartamento, che all’epoca era riservata ai colpevoli di tradimento. 

C’è tuttavia un'evidente carenza di fonti scritte: una simile sequenza di atrocità, che avrebbero richiesto persino l'intervento reale, dovrebbe essere stata registrata in vari testi storici, ma non se ne è trovata traccia. La leggenda di Sawney Bean comparve per la prima volta in riviste inglesi scandalistiche di basso livello, il che ha portato alcuni a sospettare che la storia sia stata una forma di propaganda politica per denigrare gli scozzesi per via dell’insurrezione Giacobita, ossia quella serie di sommosse, rivolte e guerre nelle isole britanniche avvenute fra il 1688 e il 1746 che avevano lo scopo di riportare sul trono il cattolico Giacomo II (1633-1701) o, in seguito, i suoi discendenti.


7. LE FONTI

- Markus Tymister, “La concelebrazione eucaristica. Storia, questioni teologiche, rito”.

- Andrea Maraschi, “Similia similibus curantur : cannibalismo, grafofagia e magia simpatetica nel Medioevo”.

- William Edward Arens, “Il mito del cannibale: antropologia e antropofagia”, Boringhieri, 2001.

- Rodolfo il Glabro, “Cronache dell'anno Mille”, Fondazione Valla, Mondadori.

- Rodolfo di Caen, “Gesta Tancredi in expeditione Hierosolymitana”.

- Davide Esposito, “La Chanson de Jérusalem: la crociata come pellegrinaggio”.

- Angelica Aurora Montanari, “Il fiero pasto”, Il Mulino.

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[Nell’immagine: a sinistra, Il cannibalismo di Maria, una madre ebrea, Los Angeles, J. Paul Getty Museum; a destra Saturno mangia i suoi figli Illustrazione tratta da un’edizione tardo quattrocentesca del Livre des echecs amoureux moralises.]

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